Salvatore Di Giacomo
Pianoforte ‘e notte
Nu pianefforte ‘e notte
sona lontanamente,
e ‘a musica se sente
pe ll’ aria suspirà.
E’ ll’ una: dorme ‘o vico
ncopp’ a sta nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tiempo fa.
Dio, quanta stelle ncielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
vurria sentì cantà!
Ma solitario e lento
more ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo ‘o vico
dint’ a ll’oscurità.
Ll’anema mia surtanto
rummane a sta funesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannose, a penzà.
Ugo Foscolo
Tratto da “Ultime lettere a Jacopo Ortis”
Tutte le nazioni hanno le loro età. Oggi sono tiranne per maturare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavano dianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e col fuoco.
La terra è una foresta di belve. La fame, i diluvi, e la pestesono ne’ provedimenti della natura come la sterilità di un campo che prepara l’abbondanza per l’anno vegnente: e chi sa? fors’anche le sciagure apparecchiano la prosperità di un altro.
Frattanto noi chiamiamo pomposamente virtù tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda, e alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia; ma potrebbero eglino imporla se per regnare non l’avessero prima violata? Chi ha derubato per ambizione le intere province, manda solennemente alle forche chi per fame invola del pane. Onde quando la forza ha rotti tutti gli altrui diritti, per serbarli poscia a sé stessa inganna i mortali con le apparenze del giusto finchè un’altra forza non la distrugga. Eccoti il mondo, e gli uomini. Sorgono frattanto d’ora in ora alcuni più arditi mortali; prima derisi come frenetici, e sovente come malfattori decapitati: che se poi vengono patrocinati dalla fortuna ch’essi credono lor propria, ma che in somma non è che il moto prepotente delle cose, allora sono obbediti e temuti, e dopo morte deificati. Questa è la raza degli eroi, de’ capi-sette, e de’ fondatori delle nazioni i quali dal loro orgoglio e dalla stupidità de’ volghi si stimano saliti tant’altro per proprio valore; e sono cieche ruote dell’oriuolo. Quando una rivoluzione del globo è matura, necessariamente vi sono gli uomini che la incominciano, e che fanno de’ loro teschj sgabello al trono di chi la compie. E perché l’umana schiatta non trova né felicità né giustizia sopra la terra, crea gli Dei protettori della debolezza e cerca premj futuri del pianto presente.Ma gli Dei si vestirono in tutti i secoli delle armi de’ conquistatori; e opprimono le genti con le passioni, i furori, e le astuzie di chi vuole regnare.
Lorenzo, sai tu dove vive ancora la vera virtù? in noi pochi deboli o sventurati; in noi che dopo aver sperimentati tutti gli errori, e sentiti tutti i guai della vita, sappiamo compiangerli e soccorrerli.
Tu, o compassione, sei la sola virtù! tutte le altre sono virtù usuraje.
Ma mentre io guardo dall’alto le follie e le fatali sciagure della umanità, non mi sento forse tutte le passioni, e la debolezza ed il pianto, soli elementi dell’uomo? Non sospiro ogni dì la mia patria?
Non dico a me lacrimando: Tu hai una madre e un amico – tu ami – te aspetta una turba di miseri, dove fuggi? anche nelle terre straniere ti perseguiranno la perfidia degli uomini e i dolori e la morte: qui cadrai forse, e niuno avrà compassione di te; e tu senti pure nel tuo misero petto il piacere di essere compianto. Abbandonato da tutti, non chiedi tù ajuto al cielo? non t’ascolta; eppure nelle tue afflizioni il tuo cuore torna involontario a lui: ti prostra, ma all’are domestiche.
O natura! hai tu forse bisogno di noi sciagurati, e riconsideri come i vermi e gl’insetti che vediamo brulicare e moltiplicarsi senza sapere a che vivano? Ma se tu ci hai dotati del funesto istinto della vita sì che il mortale non cada sotto la soma delle sue infermità ed ubbidisca irrepugnabilmente a tutte le tue leggi, perché poi darci questo dono ancor più funesto della ragione? Noi tocchiamo con mano tutte le nostre calamità ignorando sempre il modo di ristorarle.
Perché dunque io fuggo? e in quali lontane contrade io vado a perdermi? dove mai troverò gli uomini diversi dagli uomini? O non presento io forse i disastri, le infermità, e la indigenza che fuori della mia patria mi aspettano? – Ah no! Io tornerò a voi, o sacre terre, che prime udiste i miei vagiti , dove tanta volte ho riposato queste mie membra affaticate, dove ho trovato nella oscurità e nella pace i miei pochi diletti, dove nel dolore ho confidato i miei pianti. Poiché tutto è vestito di tristezza per me , se null’altro posso ancora sperare che il sonno eterno della morte – voi sole, o mie selve, udirete il mio ultimo lamento, e voi sole coprirete con le vostre ombre pacifiche il mio freddo cadavere. Mi piangeranno qugli infelici che sono compagni delle mie disgrazie; e se le passioni vivono dopo il sepolcro, il mio spirito doloroso sarà confortato dai sospiri di quella celeste fanciulla ch’io credeva nata per me, ma che gli interessi degli uomini e il mio destino feroce mi hanno strappata dal petto.
Artisti contemporanei Roma