Elezione Doge di Venezia

Quando a Venezia si doveva eleggere il Doge, si riuniva il Maggior Consiglio (composto da molte decine di uomini delle più importanti famiglie della città). Il più giovane dei presenti, scendeva nella Basilica di San Marco e prendeva il primo bambino che trovava, bambino estremamente fortunato perché poi la Serenissima gli avrebbe pagato gli studi dalle elementari all’università e lo portava dentro il salone. 
Questo bambino (detto “ballottino”) estraeva a sorte delle ballotte, cioè palline, da un’urna, e le passava ai membri del Consiglio: i trenta che avessero ricevuto la ballotta che designava gli elettori, rimanevano mentre gli altri andavano via ma se tra gli estratti vi erano dei parenti, si procedeva ad una sostituzione.
I trenta si riunivano e con una seconda estrazione si riducevano a nove.
I nove eleggevano a loro volta quaranta consiglieri (che dovevano ricevere minino 7 voti).
i quaranta venivano ridotti a 12; questi, con il voto favorevole di almeno 9 di loro, ne eleggevano altri 25, i quali venivano ridotti di nuovo a 9 che ne avrebbero eletto altri 45 con almeno 7 voti favorevoli. I 45, sempre a sorte, venivano ridotti a 11, i quali con almeno 9 voti favorevoli, ne eleggevano altri 41 che finalmente sarebbero stati i veri elettori del Doge.

Questi 41 si raccoglievano in un apposito salone dove ciascuno gettava in un’urna un foglietto con un nome. Ne veniva estratto uno a sorte e gli elettori potevano fare le loro eventuali obiezioni ed accuse contro il prescelto. Questi veniva poi chiamato a rispondere e a fornire le eventuali giustificazioni. Dopo averlo ascoltato si procedeva ad una nuova votazione; se il candidato otteneva il voto favorevole di almeno 25 elettori su 41, era proclamato Doge,

Tutto il sistema doveva servire ad evitare corruzione e compravendita dei voti, e per far questo si imponeva anche un rigoroso silenzio durante le votazioni.
Esisteva però un fatto curioso (si fa per dire) cioè che gli oligarchi interessati, entravano ed uscivano dai vari collegi elettorali e si riunivano a discutere e trattare in un cortile del palazzo, un cortile conosciuto col nome di Brolio (termine comune in nord Italia, da cui i tanti “broletti”, palazzi comunali), o, in veneziano, Broglio, parola che poi è diventata famosa nella nostra politica, che sta a identificare tutte quelle operazioni illecite di manipolazioni del voto che tendono a falsare una consultazione elettorale.