Papa Pio XI

Al professor Cesa Bianchi, chiamato al suo capezzale, aveva detto: “Fate l’impossibile per mantenermi in vita almeno sino a sabato prossimo, per assistere alle celebrazioni commemorative”.

Consapevole d’essere ormai giunto alla fine del suo cammino terreno, Papa Pio XI manifestò così il desiderio di partecipare alle commemorazioni previste in Vaticano per il decennale dei Patti Lateranensi, da lui voluti per risolvere, a quasi sessant’anni di distanza dalla “Breccia di Porta Pia”, la spinosa “Questione Romana”, così addivenendo alla Conciliazione fra lo Stato della Città del Vaticano e il Regno d’Italia.

Per l’occasione aveva convocato a Roma tutti i Vescovi italiani, ai quali aveva in animo di annunciare la prossima pubblicazione dell’enciclica “Humani generis unitas”, contenente una fortissima condanna dei regimi totalitari e delle discriminazioni razziali.

Il desiderio del Santo Padre però non poté avverarsi, perché alle prime luci dell’alba del 10 febbraio del 1939 Pio XI spirò, al termine di un lungo e doloroso calvario personale segnato dalla malattia.

Il brianzolo Achille Ratti era nato a Desio il 31 maggio 1857 da Francesco, direttore della locale filanda, e Teresa Galli. Col padre spesso assente per impegni di lavoro, a seguirne l’educazione fu lo zio don Damiano Ratti, parroco di Asso.

In questa piccola località collinare il giovanissimo Achille maturò non solo la passione per la montagna, che in futuro l’avrebbe fatto partecipare ad ardite scalate sui Monti Bianco e Rosa, ma anche una vocazione precoce.

Entrato decenne nel Seminario Minore di Seveso, vi studiò per cinque anni, per poi trasferirsi al Seminario Maggiore di Milano dove conseguì la maturità liceale e si preparò a diventare prete, traguardo coronato nel 1879 con l’ordinazione sacerdotale impartitagli a Roma.

Nell’Urbe si trattenne tre anni laureandosi in diritto canonico, teologia e filosofia, e così ponendo le basi di una rapida carriera, prima come insegnante presso il Seminario milanese e poi, dal 1907, come prefetto della prestigiosa Biblioteca Ambrosiana.

Il suo meticoloso lavoro di recupero e catalogazione di rarissimi manoscritti e codici medievali gli valse la chiamata a Roma da parte di Papa Pio X, che nel 1912 lo nominò prefetto della Biblioteca Vaticana.

Benedetto XV gli affidò nel 1919 il delicato incarico di Vicario Apostolico per la Lituania e la Polonia, elevandolo al rango di Arcivescovo. Da Varsavia Monsignor Ratti fu l’unico diplomatico estero che non scappò via, quando le truppe bolsceviche invasero il Paese, mettendo a rischio la sua stessa vita.

Colpito da tanta risolutezza, Benedetto XV lo nominò, sul finire del 1921, Cardinale Arcivescovo della più grande Diocesi d’Europa, quella di Milano, incarico che il nostro mantenne solo per pochi mesi perché già dal Conclave del 1922 uscì con la tiara sul capo, assumendo il nome di Pio XI.

Con un gesto dirompente, decise d’impartire la sua prima benedizione “Urbi et Orbi” dalla loggia esterna della Basilica Vaticana, chiusa dal 1870.

All’inizio, la sua principale preoccupazione fu quella di dare una dimensione nuova all’ex Stato Pontificio, facendolo riconoscere dai vari Stati d’Europa con una serie di Concordati che sancissero le prerogative non solo della Santa Sede, ma delle roccaforti cattoliche locali (scuole, associazioni, partiti) che servivano a controbilanciare in chiave cristiana le pressioni centrifughe causate dai forti nazionalismi.

Oltre alla firma dei Concordati con Lettonia, Romania, Germania ed Austria, ecco dunque concretizzarsi nel 1929 quello col Regno d’Italia, con la firma dei Patti Lateranensi.

A partire dagli anni Trenta subentrò in lui una crescente e sempre più ferma condanna dei regimi totalitari, con la pubblicazione in rapida successione di una serie di encicliche sempre più esplicite.

Con la “Non abbiamo bisogno” del 1931 Pio XI si scagliò contro la dottrina e la prassi fascista, che aveva appena sciolto l’Azione Cattolica. La “Quadragesimo anno” integrò la “Rerum Novarum” di Leone XIII, ribadendo il concetto del “Cattolicesimo sociale”, molto diverso dagli ideali nazionalsocialisti e fascisti.

Nel 1937 Papa Ratti stigmatizzò in maniera inequivocabile il regime nazista con la “Mit brennender Sorge”, condannando il culto della razza e dello stato, da lui definiti perversioni idolatriche e pagane, e denunciando il folle tentativo d’imprigionare Dio nei limiti di un solo popolo e di un’unica razza.

Quando nel 1938 Hitler venne a Roma, per non assistere nella Capitale della Cristianità allo sventolio di bandiere “con un’altra croce”, preferì ritirarsi a Castel Gandolfo.

Sbalordendo ancora una volta tutti, il 6 settembre del 1938 ad un gruppo di pellegrini belgi disse: “L’antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente Semiti”.

Con lui se ne andò uno dei più grandi Papi del Novecento, certo meritevole di maggior fama perché Achille Ratti, prima che un bravo prete, fu un uomo buono e giusto.

(Testo di Anselmo Pagani)