Per non pagar gabella

Per entrare in Firenze, fino a due secoli fa, prima di varcare una delle porte veniva fermato per controllare le merci che trasportava, se fossero soggette al pagamento del dazio.
L’ingresso di Palazzo Vecchio su Via de’ Gondi è la porta della Dogana, sopra la quale troneggia lo stemma dei maestri doganieri, una porticina merlata intarsiata in marmi policromi, con sotto la scritta “DOGANA”.
Da questa porta si accede al Cortile della Dogana, che prende il suo nome dal fatto che qui avevano sede gli uffici amministrativi della dogana fiorentina, fatti insediare qui dal granduca Leopoldo II di Toscana (1797-1870). Le merci provenienti da fuori il Granducato, venivano immagazzinate in attesa che il destinatario le ritirasse, dopo aver pagato la tassa di dogana. Le merci venivano fatte entrate dalla Porta della Dogana.
Allora come oggi, nessuno era contento di pagare un’imposta e la gente si ingegnava a trovare modi per evadere questa imposta.
Ad esempio, era pratica diffusa il contrabbando di polli e maiali.
Le donne nascondevano prosciutti sotto le gonne e riuscivano molto spesso a farla franca e a contrabbandare anche carne e salsicce. Anche negli scaldini, sotto la brace, veniva spesso nascosta della merce.
Nel caso venissero scoperti, i contrabbandieri dovevano pagare una multa pari a dieci volte la gabella, o rinunciare alla merce; per i gabellieri invece c’era una ricompensa di ben dieci lire, come premio per avere scoperto le merci contrabbandate.
Un sistema particolarmente raccapricciante di scansare il dazio era utilizzato dai becchini, che usavano nascondere interi maiali dentro le bare.
C’erano, viceversa, modi piuttosto esilaranti di riuscire a varcare le porte di Firenze senza pagar gabella: uno di questi era quello di far arrivare delle carrozze al crepuscolo, quando le ombre confondevano le figure, e tra i passeggeri veniva fatto salire a bordo della carrozza anche un maiale, infagottato in abiti femminili, riuscendo spesso a farla franca!
Quando, con l’avvento di Firenze capitale, gran parte delle mura della città vennero abbattute, i controlli, che fino ad allora venivano effettuati dai gabellieri alle porte di accesso, vennero spostati in nuovi uffici daziari, situati nelle zone periferiche.
Il Sindaco Peruzzi promulgò una legge apposita: “Nel giorno 1 marzo 1869 sarà attivata la nuova Cinta Daziaria in sostituzione dell’attuale, già costituita dalle antiche mura, dalla Zecca Vecchia sulla riva destra dell’Arno, fino all’intersecazione del terrapieno della Ferrovia con le mura della città presso l’ex Forte di San Giovanni Battista…”.
Da “I contorni di Firenze, illustrazione storico-artistica” di Guido Carocci del 1875:
“La cinta daziaria, cominciando dall’antica torre della Zecca Vecchia presso il Ponte di Ferro dov’è la barriera detta della Piacentina, percorre l’argine dell’Arno fino all’imboccatura del torrente Affrico, il cui letto reso più ampio e più regolare serve di cinta per tutto il lato di levante. Lungo l’Affrico s’incontrano le barriere: Aretina, di S. Salvi e di Settignano. Nel punto in cui la linea di cinta abbandonando il corso dell’Affrico piega a settentrione lungo le pendici dei colli di Majano e di Camerata trovasi la barriera di Majano, e più avanti s’incontra quella della Fonte all’Erta. Il corso del fosso di S. Gervasio che nasce nel colle di Camerata serve per un altro tratto di cinta fino alla sua imboccatura nel Mugnone ed in questo tratto s’incontrano le barriere della Querce e delle Cure. La cinta costeggia di poi il torrente Mugnone fino al Ponte alle Mosse e si apre alle barriere del Ponte Rosso, del Romito, del Ponte all’Asse, di S. Donato e del Ponte alle Mosse. Di qui, dopo piccolo tratto va a trovare l’argine del Fosso Macinante e lo percorre fino all’incontro del Viale delle Cascine dov’è la barriera del Canale Macinante. Ivi appresso è la barriera delle Cascine che ha una succursale sul Lungarno”.

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