Isola di Mona

LA CONQUISTA ROMANA DELL’ISOLA DI MONA

La conquista dell’isola di Mona, l’odierna Anglesey Island, è un fatto storico che non sempre riceve il giusto riconoscimento. L’isola di Anglesey o Mona insula così chiamata dai Romani, che ne mutuarono il nome dal termine gallese Mon, è posta nella parte nord-occidentale del Galles separata dalla terraferma dallo stretto di Menai e misura circa 714 km². Di fatto, un territorio con una consistenza territoriale non rilevante se non fosse che la sua occupazione da parte delle Legioni Romane portò conseguenze politico-strategiche che condizionarono in maniera determinante la conquista dell’interra Britannia e, successivamente, quelle dell’intera isola almeno fino ad una parte dell’attuale Scozia. Ma procediamo per ordine e vediamo di capire come si sviluppò il lento, ma inesorabile cammino dell’Urbe verso la conquista dei territori d’oltremanica.

Il primo contatto con i territori della Britannia avvenne nel 55 a.C. ad opera di Caio Giulio Cesare. Ciò si rese necessario, a detta dello stesso Cesare, per disincentivare le popolazioni di origine celtica abitanti il sud dell’attuale Inghilterra, a continuare a dare asilo ai capi e ai propri seguaci delle popolazioni galliche sconfitte dal condottiero romano. Inoltre i Britanni non si limitavano a questo, ma inviavano anche truppe di supporto ai consanguinei della Gallia. +++Preminenti erano anche i presupposti economici, perché’ da tempo si sapeva che il territorio della Britannia era ricco di cereali, stagno e rame, indispensabile per la formazione della lega di bronzo, e il mare forniva perle. (Strabone, Geografia). Le ondate di Cesare furono due, appunto nel 55 come già accennato e nel 54 a.C. per poi tornare a svernare nelle Gallie, dopo aver svolto una profonda ricognizione interna e aver stretto accordi economici e di alleanza con alcuni capi tribù delle popolazioni britanniche. Negli anni successivi, Roma intratterrà rapporti commerciali con le tribù della Britannia meridionale (attuale Sussex, Kent e Hampshire). Ci vorrà quasi un secolo però prima che l’Urbe torni sul suolo britannico, e lo farà con l’Imperatore Claudio nel 43 d.C., nel tentativo questa volta di attuare una vera e propria annessione. Per questo tipo di campagna Claudio si avvalse di un abile e capace generale Aulio Plauzio, che sfruttò la rivalità tra le varie etnie e attuò il divide et impera, per avere ragione delle stesse. Ma è proprio su questo punto che val la pena soffermarsi, perché’ se da un lato le tribù celtiche britanniche non avevano una propria identità nazionale, dall’altro però erano legate da sentimenti religiosi che trovavano il collante in una potente casta: I Druidi.

Questi sacerdoti occupavano un ruolo di primo piano nella società celtica, ne sono i legislatori, i cantori, i custodi di poteri ancestrali. Tra i loro compiti vi era anche quello di ispirare, consigliare, guidare il Re o il capo tribù. La visione della società era completamente diversa da quella romana, e non prevedeva nessuna intromissione, né tantomeno nessuna sottomissione alla autorità imperiale. Già Cesare aveva fatto la loro conoscenza e da uomo pratico quale era, ne aveva provato a capire le dinamiche:

In tutta la Gallia ci sono due classi di quegli uomini sono tenuti in qualche conto e rispetto. Infatti la plebe, che nulla osa di sua iniziativa, è considerata quasi alla stregua degli schiavi, non partecipa a nessuna decisione. Molti, essendo oppressi o dai debiti o dal peso delle tasse o della prepotenza dei potenti, si danno schiavi ai nobili, verso questi ogni diritto è lo stesso che i signori (hanno) verso gli schiavi. Ma di queste due classi una è quella dei druidi, l’altra quella dei cavalieri. Quelli attendono alle funzioni religiose, fanno i sacrifici pubblici e privati, risolvono le questioni religiose; da loro accorre un gran numero di giovani per imparare, e questi godono di grande reputazione presso quelli. Infatti decidono quasi di ogni controversia pubblica e privata e, se viene commesso un qualche delitto, se è stata fatta una qualche uccisione, se c’è qualche controversia circa l’eredità, sui confini, loro stessi decidono e stabiliscono i risarcimenti e le punizioni; se qualcuno, o privato o popolo, non si è sottomesso alla loro deliberazione, lo interdicono dai sacrifici. Questa pena presso di loro è considerata gravissima. Coloro che sono stai interdetti, vengono considerati nel numero degli empi e scellerati, tutti li sfuggono, sfuggono il contatto e il discorso con loro, per non ricevere un qualche danno dal loro contatto, né, se questi la chiedono, viene resa giustizia né si conferisce alcun carica politica. Ma uno solo, che ha tra loro la suprema autorità, è superiore a tutti questi druidi. Morto questo, o, se qualcuno fra gli altri eccelle in merito, gli succede; o se ci sono molti uguali, si elegge con la votazione dei druidi, e talvolta si disputano sulla suprema autorità anche con le armi. Questi, in un periodo stabilito dell’anno, si riuniscono nel territorio dei Carnuti, regione la quale è considerata al centro di tutta la Gallia. Qui da ogni parte convengono tutti quelli che hanno controversie, ed ubbidiscono ai loro decreti e alle loro deliberazioni. Si reputa che questa dottrina sia nata in Britannia e che poi sia stata portata in Gallia, ed ora, quelli che vogliono conoscere questa disciplina più approfonditamente, perlopiù si recano là per impararla” (De Bello Gallico libro VI, 13)

E aggiunge:

I druidi sono soliti tenersi lontani dalla guerra e non pagano come gli altri alcun tributo. Hanno l’esenzione dal servizio militare e l’esonero da ogni altra prestazione. Molti, attratti da così tanti privilegi, sia accorrono alla scuola di propria spontanea volontà, sia sono inviati dai genitori e dai familiari. Lì si dice che imparino un gran numero di poesie. Alcuni di conseguenza rimangono impegnati in questo apprendimento vent’anni. E non credono che sia lecito tramandare quelle per iscritto, mentre si servono dell’alfabeto greco in quasi ogni altra cosa, nei conti pubblici e privati. Mi sembra che essi abbiano istituito questa norma per due motivi poiché non vogliono che il sapere sia trasmesso al popolo e poiché non vogliono che coloro che imparano, confidando nella scrittura, si applichino di meno alla memoria, poiché quasi nella maggior parte delle volte accade che con l’aiuto dei testi scritti abbandonano la cura nell’apprendere e il ricordo. Principalmente vogliono persuadere che l’anima non muore ma dopo la morte passa da un corpo all’altro e ritengono che ciò sproni moltissimo al valore poiché perdono la paura della morte. Inoltre discutono molto delle stelle e del loro moto, della grandezza del mondo e della terra, della natura, della potenza e del campo d’azione degli dei immortali e insegnano molte cose ai giovani.” (De Bello Gallico libro VI, 14)

Alla luce di ciò, i Romani, che sono di solito tolleranti nei confronti delle divinità straniere, vedono in questa casta qualcosa di incomprensibile e di non facile assoggettamento. Certo che l’Urbe, si complica le cose quando all’indomani del suo ingresso nelle terre britanniche, non trova di meglio che attuare una pesante politica di conquista fatta di saccheggi, violenze di ogni genere, tassazione eccessiva, unita ad una continua profanazione dei luoghi sacri al culto religioso. Le tribù celtiche sono in continua rivolta e i Druidi diventano gli ispiratori di questa resistenza e il santuario principale dell’isola di Mona, ne diventa l’epicentro. Ma torniamo per un attimo alle vicende militari e cioè al proseguimento dell’avanzata romana in Britannia. Come si annotava poc’anzi, Aulio Plauzio alla testa di quattro legioni (II Augusta, IX Hispana, XIV Gemina, XX Valeria Victrix), circa 20.000 uomini, scatenò un’offensiva che portò alla conquista della parte sud-est dell’isola, costituendo la prima provincia Britannica con capitale Camulodonum (l’attuale Colchester). Il successore Ostorio Scapula, governatore dal 45 al 51 d.C. consolidò le conquiste nella parte più a nord, e attacca la zona del Galles, dove maggiore era la concentrazione della resistenza alla conquista, trovando la fiera opposizione dei Siluri. Alla morte di Ostorio, ne prese il posto Aulo Didio Gallo (53d.C) che mantenne, come il suo successore Veranio Nepote le posizioni raggiunte negli anni precedenti. In buona sostanza la situazione rimaneva in stallo, complice anche il fatto che la resistenza era continuamente sostenuta e fomentata proprio dai sacerdoti dell’Isola di Mona. Di conseguenza la sua conquista diventava la chiave per scardinare l’opposizione all’avanzata romana sia verso la conquista definitiva del Galles, che verso il nord del paese. Di ciò se ne avvede il successore di Veranio, Svetonio Paolino (60 d.C.). Quest’ultimo aveva maturato una grossa esperienza militare in Mauritania, e per le sue qualità’, era stato promosso governatore della Britannia. Da subito, comprese l’importanza della conquista dell’Isola di Mona, che come già detto, era il fulcro della resistenza antiromana, e costituiva inoltre un centro di potere, che come già accennato, era visto come qualcosa di estremamente ostile e di difficile comprensione per il potere romano. La flotta (la Classis Britannica) diventa il mezzo centrale nell’attacco all’isola, e le unità per il trasporto delle truppe vengono costruite sull’estuario del fiume Dee. Si devono trasportare circa diecimila legionari, composti dalla XIV Gemina e da elementi della XX Valeria Victrix. Ma lasciamo a Tacito, il racconto delle fasi cruciali che seguirono alla conquista dell’isola di Mona:

Prepara quindi un assalto all’isola di Monia, forte d’abitanti e ricettacolo di profughi, e fa costruire navi a carena appiattita, adatte a quel mare poco profondo ed insidioso. Trasportò così la fanteria; i cavalieri seguirono a guado o a nuoto coi cavalli, là dove le acque erano più alte.
Stava sul litorale la schiera nemica, folta di guerrieri in armi, e femmine s’aggiravano in mezzo a loro, vestite di nero, simili a Furie, scapigliate e con fiaccole accese in mano; intorno i Druidi, levate le mani al cielo, scagliavano orrende imprecazioni. I soldati furono talmente colpiti da quello spettacolo non mai veduto, che, quasi avessero le membra legate, ricevevano i colpi senza muoversi: ma in seguito, incitati dal comandante e l’un l’altro animandosi a non aver paura d’una schiera di donne e d’invasati, si slanciano contro di loro, abbattono quanti incontrano e li travolgono nel loro stesso incendio. A guardia dei vinti fu posta una guarnigione e vennero tagliati i boschi, sacri ai loro riti feroci: essi infatti ritenevano lecito sacrificare sugli altari con sangue di prigionieri e consultare gli dei adoperando viscere umane. Mentre a ciò attendeva Svetonio, gli viene annunziata un’improvvisa sollevazione della provincia.” Tacito Annali (Libro XIV 29,30)

La rivolta a cui fa riferimento Tacito, è quella della Regina Boudica, a seguito dell’ennesimo sopruso che i Romani perpetrarono nei confronti degli accordi presi, a seguito della morte del re degli Iceni, Prasutago . In effetti, questa rivolta distolse le forze e l’attenzione di Svetonio nei confronti dell’isola che tornò sotto il controllo delle forze indigene, continuando ad essere un punto di riferimento per la resistenza all’invasione romana. Si deve attendere l’arrivo di Gneo Giulio Agricola (77 d.C.), perché’ l’isola di Mona torni ad essere un obiettivo militare. Al comando di quattro legioni (II Audiutrix, II Augusta,IX Hispana,XX Valeria Victrix), più numerose unità ausiliari, per un totale di circa 40.000 uomini, Agricola prima mosse guerra alla tribù degli Ordovici , annientandole, poi comprese come la sottomissione dell’ isola di Mona, potesse garantirgli la conquista del Galles e il via libera alla annessione del Nord della Britannia. Tacito, al di là dei comprensivi giudizi positivi sulle azioni militari del suocero, descrive in maniera minuziosa i preparativi e le manovre che portarono alla definitiva conquista dell’Isola di Mona:

E massacrata quasi tutta la tribù, non ignaro che la fama va inseguita da vicino e che dal primo risultato dipendono tutti gli altri, concepì il disegno di conquistare l’isola di Mona, al cui possesso, come ho detto prima, aveva dovuto rinunziare Paolino, richiamato indietro dalla rivolta dell’intera Britannia. Ma, come accade nelle decisioni improvvise, mancavano le navi: a ciò sopperirono il senno e la fermezza del comandante. Fatti deporre tutti i carichi, egli spinse avanti degli ausiliari scelti, conoscitori dei guadi ed avvezzi a nuotare alla loro maniera, *reggendo sé e le armi e i cavalli; essi passarono così rapidamente, che i nemici, i quali si aspettavano una flotta e un’azione sul mare, presi da stupore, pensarono non potervi essere nulla di difficile o di insuperabile a uomini che venivano a far guerra in tal modo. Così domandarono pace, e l’isola si arrese; Agricola n’ebbe stima di grande e famoso, come uomo che appena entrato nella provincia aveva preferito affrontare la fatica e il pericolo in quei giorni che altri spendono nel far pompa di sé e nel sollecitare gli omaggi. Né Agricola chiamava impresa guerresca o vittoria l’avere tenuto a freno dei vinti; non adoperò nemmeno lettere laureate per dar conto delle sue gesta, ma proprio col dissimulare la sua fama egli se l’accrebbe, perché tutti consideravano quanto dovesse sperare dal futuro chi aveva taciuto azioni così grandiose” (Tacito Agricola,18)

Si concludeva in questo modo, la fine di una classe politico-religiosa, che per lungo tempo aveva condizionato la vita, gli usi e la mentalità di un mondo, quello celtico, che era stato alla base di una buona parte della cultura del continente europeo.

*forse ausiliari Batavi

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