Il trionfo di Pompeo sui mari

LA GUERRA TOTALE DI ROMA SUI MARI AI PIRATI: IL TRIONFO DI POMPEO

«I pirati non navigavano più a piccoli gruppi, ma in grosse schiere, e avevano i loro comandanti, che accrebbero la loro fama [per le imprese]. Depredavano e saccheggiavano prima di tutto coloro che navigavano, non lasciandolo in pace neppure d’inverno […]; poi anche coloro che stavano nei porti. E se uno osava sfidarli in mare aperto, di solito era vinto e distrutto. Se poi riusciva a batterli, non era in grado di catturarli, a causa della velocità delle loro navi. Così i pirati tornavano subito indietro a saccheggiare e bruciare non solo villaggi e fattorie, ma intere città, mentre altre le rendevano alleate, tanto da svernarvi e creare basi per nuove operazioni, come si trattasse di un paese amico.» Questa è la descrizione dell’abilità dei pirati dei mari dataci da Cassio Dione Cocceiano in “Storia romana”, e dell’enorme pericolo che essi costituivano per Roma.

Il periodo attorno al 70 a.C. si rilevò un periodo critico non solo per i propositi di grandezza, ma persino per la sopravvivenza stessa di Roma. I pirati infatti si stavano rivelando una concreta minaccia con le loro incursioni e razzie che mettevano in pericolo le forniture di grano che si dirigevano verso l’Urbe per terra ma soprattutto per mare.

Per provare a eliminare questa pesante minaccia che incombeva su Roma c’erano già state delle spedizioni militari contro di essa: Lucio Fabio Labenone nel 189 a.C. presso l’isola di Creta, Marco Antonio Oratore nel 102 a.C. condusse una campagna in Cilicia, tanto che in seguito ai successi riportati sulle popolazioni piratiche, venne costituita nel 101-100 a.C. una seconda provincia romana, quella di Cilicia appunto. Quinto Bruzzio Sura (87 a.C.) sconfisse i pirati in uno dei loro numerosi covi, il porto dell’isola di Skiathos (oggi Sciato). Il legato di Silla, Lucio Licinio Lucullo (87 a.C) si spinse in profondità nel Mediterraneo orientale, arrecando molti danni e perdite al nemico a Cipro, in Fenicia, a Rodi e in Panfilia ma rischiando moltissimo anch’egli. Publio Servilio Vatia nel 78 a.C. ottenne importanti vittorie in Isauria, celebrò il trionfo ed ebbe l’agnomen di “Isaurico”.

Marco Antonio Cretico (padre di Marco Antonio) nel 74 a.C. organizzò delle spedizione contro i pirati ma venne sconfitto a Creta. Dopo di lui ci riprovò con successo Quinto Cecilio Metello Cretico, ed appoggiata dalle città di Gortina (oggi Gortyna) e di Polirrenio (Polyrrhenion), portò alla conquista graduale dei principali centri della resistenza antiromana (Cydonia, Cnosso, Eleutera, Lappa, Lytto e Hierapytna), malgrado il contrasto sorto tra lo stesso Quinto Metello e il legato inviato nell’isola da Pompeo, Lucio Ottavio.

Nel 70 a.C. il pretore Cecilio Metello ingaggiò battaglia con successo contro i pirati che infestavano i mari della Sicilia e della Campania, i quali si avevano osato saccheggiare persino Gaeta ed Ostia.

Questi tentativi ottennero risultati anche apparentemente positivi ma di fatto ambigui, comunque lontani da una definitiva eliminazione del problema piratesco. A dimostrazione di ciò le sempre rinnovate incursioni che continuavano a colpire la penisola italica e videro prendere d’assalto Brindisi, le coste dell’Etruria, oltre al sequestro di importanti personalità di queste città.

Gli smacchi subiti spinsero le autorità romane alla decisione di cambiare strategia per l’offensiva. Le guerre mitridatiche avevano dato prezioso aiuto al proliferare di questi predoni del mare che saccheggiavano porti, città e navi commerciali indisturbati. Sotto il loro comandante Isodoro, inizialmente si limitarono a colpire i mari a loro più vicini, ad oriente, compresi quelli tra Creta, Cirene, Acaia e Capo Malea, i quali, per le ricchezze di bottino razziato, furono rinominati “Mare d’Oro”. Ma la loro brama di ricchezze li spinse poi ad allagare i loro obiettivi.

Le decisioni a Roma furono drastiche. La direzione delle operazioni belliche doveva passare sotto il comando di una sola persona, alla quale erano affidati poteri straordinari: per mettere in atto tutto ciò fu varata la “Lex Gabinia”, proposta nel 67 a.C. dal tribuno della plebe Aulo Gabinio. Questa legge speciale prevedeva l’elezione di un comandante supremo, a cui sarebbero stati riconosciuti per tre anni la carica di proconsole, oltre che una libertà di decisione e di azione che era fino ad allora inedita nella lotta ai pirati. L’uomo prescelto per compiere l’impresa fu Gneo Pompeo Magno.

La legge entrò in vigore anche grazie all’appoggio politico di Cicerone e soprattutto Cesare (il quale vedeva nell’allontanamento temporaneo dell’ingombrante figura di Pompeo anche un prezioso vantaggio politico), i quali, nonostante la palese illegalità, la sostennero in quanto considerata indispensabile per causa di forza maggiore contro un grande e gravepericolo. In ogni caso le rimostranze nei confronti di questo atto furono importanti, soprattutto in ambiente senatoriale, in quanto molti esponenti del Senato erano spaventati dall’eccessivo potere conferito ad un singolo uomo.

La scelta di Pompeo non fu casuale visto quest’ultimo all’epoca risultava molto popolare dopo le sue vittorie contro Sertorio (aiutato da Metello) e Spartaco (con l’appoggio di Crasso). Infatti nel 71 a.C. Pompeo godeva a Roma di un grande prestigio: in quell’anno organizzò il trionfo per le suddette vittorie in Hispania contro Sertorio e quella nella penisola contro lo schiavo ribelle Spartaco. I Romani vedevano in lui il salvatore ed eroe della città, del suo popolo e delle sue istituzioni. Nel 67 a.C gli fu affidata la lotta ai pirati mentre l’anno seguente la guerra contro Mitridate VI re del Ponto. Per la lotta ai pirati, Pompeo fu finanziato con 6.000 talenti attici e il comando di un’armata dai numeri considerevoli: 120.000 fanti (equivalenti a circa venti legioni), 4.000 cavalieri e 270 navi (70 “hemolie”, ovvero leggere)! Nello specifico la “Lex de piratis persequendis” (meglio nota appunto come “Lex Gabinia”) prevedeva: la nomina di un comandante supremo con un mandato triennale, poteri illimitati in tutto il Mediterraneo e fino a 400 stadi all’interno (70 km circa) nell’entroterra, massima libertà operativa, una flotta di 500 navi armate ed equipaggiate (soldati e rematori), 5.000 cavalieri e di 20 legioni. Inoltre gli si dava il potere di scegliere 15 legati dal Senato, da distribuire nelle principali zone di mare, prendere il denaro che desiderava dal Tesoro pubblico e dagli esattori delle tasse.

La preparazione di Pompeo fu particolarmente meticolosa, una pianificazione che aveva l’obiettivo di non lasciare respiro e scampo al nemico pirata.

Il condottiero romano provvide subito a nominare i legati che prevedeva la stessa legge. 14 (secondo Floro) o 25 (secondo Appiano di Alessandria): Gellio (console nel 72 a.C.), a capo del mare toscano; Gneo Cornelio Lentulo Clodiano nell’alto Adriatico alle cui dipendenze potrebbero essere stati posti i giovani figli di Pompeo (Gneo e Sesto) e non come vorrebbe Floro, questi ultimi posti a guardia del mare egizio; Plozio Varo sul Mar di Sicilia; Attilio nel golfo ligure (secondo Floro) o il mare di Sardegna-Corsica (secondo Appiano); Pomponio nel golfo gallico; Torquato nelle acque delle Baleari; Tiberio Nerone nello Stretto di Gades; Lentulo Marcellino sul mar libico-africano; Terenzio Varrone sul basso Adriatico fino all’Acarnania; Lucio Sisenna su Peloponneso, Attica, Eubea, Tessaglia, Macedonia e Beozia; Lucio Lollio sull’alto Egeo e le sue isole fino all’Ellesponto; Publio Pisone sul Ponto Eusino nei mari di Tracia e Bitinia, a nord della Propontide; Metello sopra l’Egeo orientale, la Ionia meridionale, la Licia, il Panfilio, Cipro e la Fenicia; Cepione sul Mar asiatico; Porcio Catone doveva chiudere i passaggi della Propontide.

Scelti i suoi gli uomini, Pompeo preparò la campagna. Non è certo il numero delle navi a disposizione, nonostante 500 fossero quelle previste dalla legge, verosimilmente pare non fossero più di 270 navi (200 navi rostrate e 70 scafi più leggeri, oltre a quelle già in uso dalle forze marittime romane. I poteri speciali conferiti a Pompeo gli davano il potere di recuperare natanti nei porti della Grecia e di richiamare marinai e rematori dalla flotta commerciale e dai Paesi satelliti di Roma. Dalle guerre puniche non si vedeva una simile mobilitazione da parte dell’Urbe per una sfida che aveva lo scopo l’eliminazione di un pericolo mortale.

La prima mossa di Pompeo fu di carattere difensivo in quanto era fondamentale proteggere sia i granai di Sicilia, Africa e Sardegna sia le rotte attraverso le quali veniva trasportato il grano. In secondo luogo pianificò una grande offensiva navale e terrestre contro le basi dei pirati: egli suddivise il Mediterraneo in 15 zone o distretti, ognuno dei quali era sorvegliato e presidiato da una flotta agli ordini di un comandante, e Pompeo stesso passava continuamente da una zona all’altra assicurandosi che i suoi uomini eseguissero alla lettera gli ordini. Il nemico fu inizialmente colpito ed inseguito ad occidente, riuscendo a scovare i suoi rispettivi quartieri generali ed a catturare un numero notevole delle loro navi. Pompeo bloccò i porti nei nemici per poi assediarli via terra e via mare. Dalle Colonne d’Ercole, passando dalle Baleari alla Sardegna, la costa della Gallia Narbonense, l’Etruria, l’Africa settentrionale e la Sicilia. Progressivamente i pirati venivano sconfitti da una serie inarrestabile di vittorie, liberando il Mediterraneo occidentale, costringendo il nemico a ritirarsi e a fuggire dove i legati li aspettavano al varco. Molti si arrendevano senza neanche combattere.

Altri pirati fuggirono e furono gradualmente costretti a ritirarsi verso oriente. Nella “Vita di Pompeo”, appartenente alle “Vite Parallele di Plutarco”, si legge: “Pompeo suscitò ammirazione in tutto il mondo per la rapidità dei suoi movimenti, l’importanza dei suoi preparativi e la sua reputazione formidabile”, mentre i pirati che decisero di contrastarlo “si spaventarono, cessarono gli attacchi contro le città che avevano assediato e si rifugiarono nelle cittadelle fortificate e nei porti abituali”. In soli quaranta giorni i risultati di Pompeo furono strepitosi: i mari Tirreno, Libico, di Sardegna, di Corsica e di Sicilia furono debellati dalla piaga dei pirati.

Ora toccava all’oriente. La zona est del Mediterraneo era la vera roccaforte dei pirati, i quali qui potevano contare su numeri maggiori di uomini e mezzi per resistere e rispondere più a lungo all’offensiva romana. Questo in teoria, la realtà fu molto diversa, e del tutto uguale a ciò che era successo precedentmente ad ovest. Pompeo terminate queste prime operazioni ad occidente, passò brevemente per Roma e proseguì per Brindisi. Dalla Puglia ad Atene, da Rodi fino in Cilicia, come in occidente in una avanzata senza ostacoli, ripulì anche la parte orientale del Mediterraneo incontrando e sconfiggendo definitivamente i pirati più riluttanti alla resa nella decisiva battaglia navale di Coracesio (oggi Alanya) in Cilicia dove i superstiti dall’offensiva di Pompeo erano fuggiti e si erano trincerati.

Coracesio era l’ultima roccaforte della pirateria, situata in cima a un enorme scoglio roccioso che emergeva per 200 metri a picco sul mare, ed era collegato alla terraferma soltanto da un leggero istmo. Molti pirati si arresero prima dello scontro finale. La battaglia vide la facile e travolgente vittoria di Pompeo, il quale al comando di 60 navi guidò l’offensiva definitiva.

Pompeo catturò 71 navi e se ne vide consegnate 306, 10.000 pirati furono uccisi e altri 20.000 furono fatti prigionieri. Durante la celebrazione per il suo trionfo a Roma, fu affermato che nell’intera campagna attraverso il Mediterraneo, ben 600 navi pirata erano state catturate.

Alla fine la campagna di Pompeo contro i pirati non durò che tre mesi in totale (un tempo irrisorio rispetto a quello prospettato alla vigilia). Le perdite da parte del nemico (ormai spazzato via) furono pesantissime con almeno 10.000 caduti e 20.000 prigionieri. I Romani, inoltre, catturarono 400 navi e una enorme quantità di armi, materie prime e manufatti, senza contare la possibilità di arruolalare sulle proprie navi questi uomini molto esperti nel solcare i mari. Pompeo, nei confronti di molti di essi si dimostrò infatti clemente, infatti sempre nella “Vita di Pompeo” è possibile leggere riguardo coloro che erano ancora liberi: “Essi chiesero perdono e furono trattati con umanità, tanto che, dopo il sequestro delle loro navi e la consegna delle loro persone, non gli fu fatto alcun male; gli altri sperarono allora di essere perdonati: cercarono di scappare dai capi [pirati] e si recarono da Pompeo con mogli e figli, arrendendosi a lui”.

Il condottiero romano non si dimostrò spietato come Cesare al suo tempo, quando fece crocifiggere i suoi ormai ex rapitori. Al contrario questi furono risparmiati e, grazie al loro aiuto, furono rintracciati, catturati e puniti tutti coloro che erano ancora nascosti nei loro rifugi, perché consapevoli di aver commesso crimini imperdonabili. Questi furono mandati in varie regioni e città, come Anatolia, Taranto, Cirenaica e nord della Grecia, trasformando i razziatori del mare in contadini, dando loro delle terre da coltivare in regioni dell’impero poco popolate o spopolatesi a causa delle guerre e dei saccheggi: in questa maniera si toglieva loro la tentazione di riprendere le razzie e le scorrerie marittime e li si spingeva a far parte in maniera attiva e positiva nella fondazione ed espansione di nuove città. Oltre alla vittoria militare, si aggiungeva dunque anche un vero e proprio trionfo civile e sociale da parte del condottiero romano.

Plutarco afferma: “Riflettendo, dunque, che per natura l’uomo non è e non diventa un selvaggio o una creatura asociale, ma viene trasformato dalla pratica innaturale del vizio; laddove può essere ammorbidito da nuovi costumi grazie al cambiamento di luogo e di vita, allora, se perfino le bestie feroci possono spegnere il loro modo di essere feroce e selvaggio quando queste vivono in modo più dolce la vita, [Pompeo] decise di trasferire gli uomini dal mare alla terra, permettendo agli stessi di vivere in modo più dolce la vita, in città e coltivando la terra Alcuni di loro, quindi, furono accolti ed integrati nelle piccole città semi-deserte della Cilicia, a cui aggiunse ulteriori territori; dopo aver ricostruito la città di Soli, che era stata recentemente devastata da Tigrane, re d’Armenia, Pompeo ne insediò molti lì. Per la maggior parte di loro, tuttavia, diede come residenza la città di Dyme in Acaia, che allora era priva di uomini e aveva molta terra buona.”

Nonostante non si arrivò alle 500 navi da costruire, fu il piu’ imponente schieramento navale mai attuato dai Romani, e questo non includendo nemmeno le forze messe a disposizione dagli alleati. Terminava con il trionfo sui pirati quella sostanziale diffidenza di Roma nei confronti del mare. I Romani storicamente, nonostante le vittorie contro la marittima “Cartagine” non amavano combattere per mare (o comunque erano meno eseprti della guerra terrestre), e distruggevano le flotte dei popoli che conquistavano. Ma adesso, al contrario delle volte precedenti, quando, terminava una campagna navale, quest’ultime vennero messe in disarmo, dunque le imbarcazioni rimasero operative: Roma prendeva definitivamente possesso dell’elemento acqua diventando di fatto l’unica talassocrazia del Mediterraneo.

Come ai tempi delle guerre puniche, si era dimostrato il bisogno indispensabile della marina: un’arma efficace e affidabile se non indispensabile, che dopo essere stata il braccio per colpire il nemico, a differenza di allora adesso doveva diventare anche l’occhio vigile di Roma, pronto a scrutare ogni pericolo per garantire stabilmente sicurezza e stabilità dei mari.

La forza navale romana era progressivamente e pericolosamente arretrata negli anni venendo meno ai suoi interessi nel Mediterraneo e favorendo la crescita del fenomeno pirata: ora sotto Pompeo era rinata, e non sarebbe mai più stata messa da parte. Piccole flotte sarebbero state in servizio permanente nel Mediterraneo occidentale, nell’Adriatico e nel Tirreno, le acque che circondavano Roma stessa.

Le navi in sovrannumero nel Mediterraneo occidentale, dove la situazione era da ritenersi pacificata del tutto, furono messe in disarmo nei porti della Sicilia, della Gallia, della Spagna e dell’Africa, ma non furono abbandonate e distrutte, al contrario venivano costantemente revisionate, pronte per potere essere riarmate e rimesse in servizio il più velocemente possibile in caso di pericolo come indispensabile riserva strategica.

Nella parte orientale del Mediterraneo, dove i pericoli e i rischi erano sempre dietro l’angolo e dove la situazione politica era instabile e pronta ad accendersi in qualsiasi momento, la flotta restò invece in servizio attivo con l’organico al completo.

Per la prima volta il Mediterraneo era finalmente ripulito dalla piaga dei pirati: l’appellativo “Mare nostrum” poteva cominciare ad essere assegnato senza paura e smentita all’intero bacino. Liberato dai pirati, il Mediterraneo poté vivere secoli senza i pericoli che essi procuravano. Un’impresa imponente che darà i suoi frutti per secoli, che mise in luce una volta di più l’intelligenza militare e politica di Pompeo, anche molto tempo dopo la caduta di Roma e al tramonto totale della marina imperiale. Di pirati e pericoli sui mari, nel Mediterraneo, se ne sarebbe ricominciato a parlare stabilmente solo a partire solo dall’VIII secolo, con Vichinghi e Saraceni.

 

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