Stato e fede

Intorno all’anno 1000 nasce e si sviluppa il borgo, solitamente un piccolo centro fortificato pronto a proteggere gli abitanti del contado dalla vita pericolosa di quel periodo. Dal borgo prendono il nome i suoi abitanti: i borghesi, coloro che provenendo dalla campagna vi riciclano i proventi.

Col tempo sviluppano attività artigianali e piccole imprese, nascono mercanti e banchieri e mano a mano che il borgo cresce, diventa una città.

In Europa le città restano sotto le varie monarchie mentre in Italia, mancando un governo nazionale, nascono quelli che passeranno alla storia come i “ liberi comuni” che comporranno delle vere e proprie città stato.

Particolare esempio ne sono le città della Toscana che per secoli saranno in guerra tra loro. Guerre terribili, senza pietà, dove i prigionieri se non riscattati dalle famiglie finiranno per morire di stenti nelle prigioni dei vincitori.

Che siano Guelfi (alleati del Papa) o Ghibellini (alleati dell’Imperatore) vivranno tra due entità: lo stato e la fede in quanto il medio evo è stato un periodo di fervente fede cristiana. Ma si può vivere assieme stato e chiesa, rispettandosi?

Si, credo sia possibile. Cito un esempio: a Siena come in tutte le città dell’epoca, i nobili costruivano una torre per far vedere la loro potenza. Più la torre era alta più essi dimostravano quanto contavano in città. Esisteva però una legge: nessuna torre di un privato poteva superare in altezza quella del palazzo civico che rappresentava il potere pubblico, politico; insomma, quello dei cittadini tutti. Accanto, su di una collina vicina venne eretto il Duomo con la torre campanaria. Se si va a vedere, la punta di tale torre non supera in altezza quella del palazzo Comunale detta del “Mangia” in segno di reciproco rispetto tra lo stato laico (il luogo dove si decideva la politica) e la fede (la cattedrale della città).

Molti secoli prima si era giunti alla famosa frase:“Libera chiesa in libero stato” di C. de Montalembert e pronunciata più volte da C. Benso di Cavour, fra l’altro, nel discorso al Parlamento con cui appoggiò l’ordine del giorno che acclamava Roma capitale d’Italia (27 marzo 1861).

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